La falegnameria a Reggio Emilia
La falegnameria a Reggio Emilia dal 1975
Ferrari falegnami è una storia costruita tassello dopo tassello, generazione dopo generazione. Un’esperienza e un saper fare che oggi si esprimono in un incastro perfetto di creatività, manualità artigianale e innovazione tecnologica.
La storia di
Ferrari Falegnami
Nata nel 1975, la nostra storica azienda mette a disposizione l’esperienza nella produzione di mobili artigianali interamente realizzati in legno, come una volta. Rifiniti con cura nei dettagli e resistenti nel tempo.
Ci prendiamo cura dei nostri clienti seguendoli in tutte le loro necessità, riuscendo a soddisfare anche richieste di mobili su misura.
Realizziamo mobili e complementi su misura per la casa, l’ufficio, edifici pubblici, negozi e ristoranti. Il tutto viene eseguito presso il nostro laboratorio dalla prima lavorazione del legno alla finitura, usando solo legno certificato e avendo tutta la cura e l’attenzione che solamente l’artigiano sa prestare. In fase di sopralluogo valuteremo la migliore soluzione che risponde alle vostre esigenze e se l’idea di base manca sarà la nostra esperienza e la nostra passione nell’arredare a guidarvi nella scelta.
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C'era una volta un'olmo
Un olmo è un albero particolare. È un albero antico, aristocratico, ma senza la puzza sotto il naso. Rappresenta la storia di un popolo che affonda le sue radici nella pianura padana e dintorni.
Esiste da sempre. Solo in questo ultimo secolo ha avuto problemi a causa di una malattia della vite che proveniva dall’America.
Con l’olmo infatti i contadini reggiani ad esempio sostenevano le piante delle viti. Il vino accompagnava la vita di intere generazioni. Le sue feste, le sue malinconie e difficoltà. E senza l’olmo la vite non si sosteneva.
Con le sue foglie poi, sul finire dell’estate, si dava da mangiare alle mucche, per fare un latte ancora più buono e particolare. Da questo latte si faceva il formaggio più formaggio del mondo: il parmigiano reggiano.
Si riempivano sacchi di iuta con le foglie dell’olmo. Si raccoglievano a mano, sul finire della giornata, quando i lavori dei contadini erano finiti. Era come un di più, che il contadino stanco dalle fatiche del giorno, viveva come un regalo, appunto una sovrabbondanza. Una gratuità.
E tutta la famiglia aiutava. I ragazzini poi erano i preferiti. Diventavano improvvisamente importanti, perché più agili ad arrampicarsi sugli alberi.
L’olmo è così completo che è maschile e anche femminile. Quello femminile, neanche a dirlo, è più aggraziato, ha le venature più dolci. La qualità è la stessa ma si presenta con più eleganza. Quello maschile è più difficile da lavorare, più marcato nella venatura e con più nodi. Se poi l’albero veniva abbattuto con la luna storta, si muoveva continuamente, senza remissione, in modo arrogante. È come avesse, appunto, la luna storta.
Ben lo sanno i contadini artigiani che costruivano, durante l’inverno, le sedie per la propria casa. Quelli che non riuscivano ad improvvisarsi falegnami, si facevano aiutare dagli “scranai” quei contadini capaci di farlo che giravano le varie abitazioni delle campagne a sistemare le sedie rotte o a farne delle nuove.
Un olmo di questa razza, grande, direi quasi imponente, pieno di storia, ormai solitario in quello scorcio di campagna, io l’ho usato per costruire un tavolo. È l’ultimo uso di questa pianta generosa. Sul finire della sua vita si offre per un ultimo servizio: costruire mobili per le nostre case.
Certamente con lui ci vuole pazienza, molta pazienza. Abbatterlo, tagliarlo a fette è la cosa più facile. Il difficile è stagionarlo. Fargli perdere l’umidità in eccesso per poterlo poi lavorare. Ci vuole tempo, luogo adatto per la stagionatura, non troppo umido ma nemmeno troppo assolato. Riparato dalla pioggia ma anche esposto all’aria fredda e calda. E anche quando per anni si è fatto coccolare da mille attenzioni, è sempre lui che vuole dire l’ultima parola. Se gli va si muove. Il legno è un materiale vivo. L’olmo è vivissimo. Sempre.
Questa sua vivacità però si trasmette, si allarga, ci fa compagnia.
Sarà poesia?
Non lo so.
So che il tavolo in olmo che ho costruito recentemente mi provoca questi pensieri e mi ricorda quando da bambino aiutavo mio zio Romeo a fare la “foia”.